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“Deus
meus adiuva me. Una
stalla per cavalli e una cantina per il vino in estate, questi potrieno
esser
la Chiesa e la canonica. La Chiesa è tutta umida, infracidita e mucida,
rifugio
di topi. Non da meno la Casa Parrocchiale, buia e nera di fumo, e
fracida
anch’essa. Deus meus adiuva me. Oh Signore, dammi la forza..questa è la
parrocchia che mi desti in affido? Un tempo dicesti a Frate Francesco
di
aggiustare la Tua Chiesa. E’ questa la mia missione?” così si
interrogava Don
Cristoforo Agostinelli, mentre incedeva sconfortato all’interno della
Chiesa di
San Pietro, nell’anno del Signore 1746. Due anni trascorsero, ed egli
resistette alla tentazione di rinunciare alla parrocchia. Lui era il
pievano,
quella era la sua parrocchia, era la sua missione. Di fronte a lui ora,
nell’anno
del Signore 1748 il M.ro Gaetano Fammelume stava parlando,
illustrandogli sulla
carta il progetto della nuova fabbricazione. “Deus
meus adiuva me..dove troverò tanti
scudi?? La rendita della
Parrocchia è a malapena sufficiente allo mio sostentamento…sono due
anni che getto
denari nella Ruota di Roma..ora basta..basta..non c’è frutto né fonte
di
vincita in questa vile strada del gioco.. ” Don Cristoforo salutò il
bravo
architetto e procedendo con i disegni sotto braccio sospirava al cielo
le sue
preoccupazioni. Aprì la Bibbia e gli
apparve una pagina del Vangelo di Marco, al capitolo 12, versetto 41.
“..E
sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete
nel
tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova
vi gettò
due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli,
disse
loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di
tutti gli
altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella
sua povertà,
vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Don
Cristoforo rimase fermo, con il cuore che martellava nel petto. Una
nuova
certezza ora pervadeva il suo animo e dava saldezza allo spirito. Che
stolto
era stato..che sordo e cieco era..il Signore non lascia mai soli..Egli
lo ha
detto..”Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi..”…quale
immensa
sciocchezza era stata tentare la via terrena del gioco del Lotto..e non
invece
affidarsi..tanto semplicemente..alla Sua Provvidenza? Dio vede e
provvede…chi
meglio di lui, il pievano, doveva saperlo?? Con il viso illuminato e il
piede
leggero raggiunse la sua Chiesa, trovò la cassetta delle elemosine e il
registro, e si accinse ad affidarsi alla pietà dei cittadini più pii e
devoti,
confidando nella Provvidenza del Signore. E la prima elemosina fu uno
scudo
datogli da una povera donna che vivea coll’aver del telaro tessendo
panni… e di
poi da quella innumerevoli altre…
Il
30 Giugno, dopo la festa
di San Pietro, nell’anno del Signore 1749, si pose inizio al cantiere
della
fabbrica, avutone il permesso da Monsignor Antonio Fonseca, vescovo
della
città. 10 anni. Tanto ci volle. Ma il 29 Giugno 1759 la Chiesa era
pronta. “Tutti..sono
venuti tutti”..dicea tra se Don Cristoforo con le lacrime agli occhi,
guardando
la grande folla di cittadini riunita per l’inaugurazione. La nuova
Chiesa ne
accoglieva a malapena un terzo. Molti di essi reggevano in mano le
torce
accese. E c’erano davvero tutti. I Parrocchiani benché poveri, il
Capomastro, i
muratori, gli Artieri della Fabbrica, i servitori del Magistrato e
della
Nobiltà, sei Nobili giunti senza alcun invito, dodici sacerdoti e tutti
i padri
Domenicani la cui Chiesa aveva ospitato il Santissimo Sacramento
durante i
lavori. “..sono venuti tutti..” ripeté Don Cristoforo..e alzando gli
occhi
umidi al cielo soggiunse..”Deus meus..me adiuvasti”. E si unì alla
folla.
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